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Violenza di Genere – La cultura del silenzio

Martina Levato la bocconiana regista dell’aggressione a 2 suoi ex fidanzati viene condannata per “Lesioni Gravissime” a 14 anni di carcere e occupa le cronache Italiane da mesi.

Come nel film del 72 “Sbatti il mostro in prima pagina” (interpretato da G. M. Volontè e diretto da Marco Bellocchio,1972) l’opinione pubblica, manipolata dall’evento mediatico che spettacolarizza il fatto e il personaggio, sembra non cogliere il fenomeno sociale che questo atto criminale nella sua realtà impone all’attenzione e la violenza verso il maschile agita da una donna rimane in ombra o marginale nella coscienza collettiva.

Con Violenza di Genere indichiamo la violenza rivolta all’individuo basata sul genere sessuale. Comporta e comprende lesioni sul piano economico sociale e psicologico oltre che fisico. Si esprime attraverso comportamenti e condotte oltre che azioni che vanno dalla molestia fino allo stupro con penetrazione.

Rivolto a soggetti di genere maschile, nelle culture democratiche risulterebbe un evento sostanzialmente ignorato con una frequenza pare a dieci casi taciuti per ogni caso denunciato come risulta da uno studio del 2012 condotto all’Università di Arezzo e diretto dal professor P. G. Macri :

su un campione di maschi italiani dai 18 ai 70 anni sono cinque milioni le vittime di violenza fisica,

sei milioni quelle di violenza psicologica,

oltre tre milioni e ottocentomila le violenze sessuali di cui circa 500 mila solo a Roma e due milioni e mezzo gli atti persecutori

Definiamo questa censura a dimensione collettiva, con profonde radici socio culturali, psicologiche e antropologiche vera e propria Cultura del silenzio che trasforma il Trauma subito in vergognoso segreto e altera in modo più o meno subdolo la realtà psicologica e relazionale della vittima con ricadute sul piano professionale ed inevitabili costi sociali.

Il silenzio che accompagna l’evento ingigantisce le conseguenze traumatiche ed il segreto tinto di colpa o vergogna paralizza le personali risorse riparatorie.

Uscire da questa gabbia di cupo misterioso dolore il più delle volte sommerso persino alla coscienza della vittima si può e si deve

La perla e la tartaruga (R. Rocca G. Stendoro, R Rocca G Stendoro, Armando editore 2014) ci introduce nel vivo di un rapporto psicoterapeutico di aiuto richiesto da Sandro, un giovane medico di trent’anni, avvolto in una tristezza depressiva senza speranza al momento dell’invio.

Il rapporto umano codificato in Metodologia dell’Incontro, odierna innovativa frontiera della Psicoterapia con le Immagini mentali (Procedura Immaginativa di R. Rocca e G. Stendoro) svolge il suo effetto curativo Psicotraumatologico. Riemerge in seduta quella parte di storia scomparsa dalla coscienza, ed incapsulata nella sofferenza.

Si avvia la catarsi progressiva del perduto alla memoria che cristallizzato ed irraggiungibile alla funzione riparativa e trasformativa della Psiche, avvelenava da dieci anni l’animo di Sandro.

Il trauma somatico, il trauma psichico con il loro scacco alla integrità somatopsichica del soggetto rincanalati nel fluire vitale delle immagini mentali perdono il loro paralizzante potere mortifero fuori dal tempo e dal libro:

“è  il momento giusto per iniziare la discesa verso casa è la giornata più bella della mia vita che si imprime per sempre nella memoria”

la voce di Sandro, che rasenta la calma, è rotta dall’emozione. Per il resto del tempo c’è una energia vitale in lui, in me e fra noi che possiamo toccare tanto è intensa.

Un libro in cui la simbologia, il profondo e il risveglio dei sentimenti più alti possono coinvolgere la sensibilità dell’anima di qualsiasi lettore ( R. Rocca).